sabato 25 ottobre 2014

Stefano Feltri: “Cgil a Roma, cosa cambia dopo la grande piazza?”



da: Il Fatto Quotidiano

La manifestazione della Cgil è stata un successo, non c’è dubbio, e nei prossimi giorni leggeremo pensosi editoriali sul ritorno della sinistra, le divisioni del Pd, la piazza contro la Leopolda e così via. Ma qual è il senso della piazza di oggi? In nome di cosa sono scese in piazza quelle centinaia di migliaia di persone a parte un epidermico fastidio per Matteo Renzi e per il renzismo di governo?


La lettera che la Cgil ha mandato agli iscritti è interessante, chiede alcune cose di buon senso e altre non praticabili: un piano straordinario per l’occupazione finanziato da una tassazione sulle grandi ricchezze, la riforma degli ammortizzatori sociali universali, una riforma dello Statuto dei lavoratori per estendere diritti e tutele, un contratto indeterminato a tutele crescenti per favorire il lavoro a tempo indeterminato, cancellano le altre 46 forme contrattuali (anche se quelle davvero applicate sono molte meno).

Due osservazioni: la patrimoniale, che la Cgil non osa neppure più chiamare così, in Italia non si farà mai davvero perché le grandi ricchezze non sono
aggredibili direttamente dal fisco, nascoste nei paradisi fiscali in qualche trust blindato (e le uniche patrimoniali vere, dall’Imu alla tassa sui risparmi e i fondi pensione non hanno entusiasmato neanche il sindacato). Quindi non può essere una copertura vera per alcuna riforma. E cosa vuol dire chiedere di estendere diritti a tutti ma, contemporaneamente, prevedere un contratto a tutele crescenti? Nel concreto è una richiesta di correzione del progetto del governo: nuovi assunti senza articolo 18 che, dopo un certo numero di anni, diventano uguali agli altri. Su questo la mediazione è probabile, con un periodo di prova lungo alcuni anni.

Il punto davvero importante è quello sulla riduzione delle altre forme di contratto. Con il contratto a tutele crescenti, che senso ha il contratto a tempo determinato? In teoria nessuno, ma il governo propone contemporaneamente le tutele crescenti e la liberalizzazione del contratto a tempo determinato, con il risultato finale che scompare la prospettiva del lavoro “garantito” senza la certezza che scompaia il precariato.

Queste sono le ragioni di merito e la prova di forza del sindacato – per quanto composto, anche in piazza, in gran parte di pensionati – avrà sicuramente un impatto sulla discussione, perché Renzi è sensibile alle evoluzioni del consenso. E se dell’appoggio di Susanna Camusso non gli importa nulla, tiene parecchio ai voti dei suoi iscritti (che infatti non ha mai voluto davvero irritare, basti pensare alla stabilizzazione dei precari della scuola).

Fin qui il discorso sindacale. Per valutare il senso politico serve una premessa: Renzi ha davvero già finito la luna di miele con l’elettorato e quindi la piazza di oggi segna la dimostrazione visibile della sua crisi? Stando all’ultimo sondaggio dell’istituto Ixé non è così: il Pd ha perso qualcosa rispetto al boom delle europee, ma è sceso soltanto dal 40,8 al 39,7, rimanendo stabile in queste tre settimane di discussione sulla manovra. La percentuale degli intervistati che ha molta o abbastanza fiducia nel governo è passata dal 49 di inizio settembre al 45 di oggi, il dato su Renzi in lieve calo, dal 50 al 47. Quindi nessun tracollo.

I rimasugli di soi disant sinistra autentica, dalla minoranza del Pd a Sel e frattaglie vetero-comuniste, non stanno raccogliendo consensi. Sel non riesce a superare il 2,7 per cento nei sondaggi, qualunque sia la legge elettorale senza alleanza con il Pd non entrerà in Parlamento al prossimo giro. L’idea che, come reazione a Renzi, stia montando un’onda da sinistra (più società civile, intellettuali ecc) è semplicemente un’illusione, come dovrebbe aver insegnato il flop della lista Tsipras alle elezioni europee.

L’unica forza davvero alternativa che sta crescendo è la Lega (ormai all’8 per cento) di Matteo Salvini che, avendo ormai abbandonato ogni slancio federalista, si propone schiettamente come partito xenofobo, razzista e antieuropeo, offrendo una spiegazione semplice e assolutoria ai grandi problemi della crisi. Poi c’è sempre il Movimento Cinque Stelle, abbastanza stabile nei sondaggi attorno al 20 per cento.

La grande piazza della Cgil, insomma, dimostra che la Camusso ha ancora un popolo dietro da far pesare sul tavolo dei negoziati (ammesso che Renzi la inviti) ma non segna la rinascita della sinistra. La folla di San Giovanni dimostra che c’è ancora in Italia un vasto blocco di lavoratori organizzati – pronto anche a scioperare, diritto ormai rimasto a una minoranza – e che la macchina sindacale può ancora mobilitare come negli anni in cui la politica si faceva nelle piazze e non su Twitter. E’ un blocco in disfacimento e che non comprende più gli “ultimi”, quella “maggioranza invisibile” che, come scrive l’economista Emanuele Ferragina, è stata immolata anche dal sindacato alla difesa dello status quo. E’ anche un blocco conservatore, fatto di pensionati e lavoratori che in caso di licenziamento possono andare da un giudice o avere ammortizzatori sociali, che si preoccupa (giustamente) di tutelare i propri diritti e difendere il presente nel timore che il futuro possa soltanto essere peggio. Ma è comunque un blocco che la politica non può ignorare.

La speranza è che la Cgil, rinfrancata dall’aver riscontrato che esiste ancora, si preoccupi non soltanto di sedere al tavolo giusto, di difendere pensionati e lavoratori che stanno relativamente meglio di quei paria dei precari e delle partite Iva. E che nel confronto con il governo sia disposta ad accettare che “i tempi stanno cambiando”, come diceva Bob Dylan, e che il compito di un sindacato grande come la Cgil dovrebbe essere difendere gli interessi di tutti, anche di chi non può prendersi una giornata libera per sfilare nelle strade di Roma.

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