martedì 18 settembre 2012

Usa: scaricare la crisi sull’euro


da: Il Fatto Quotidiano

Gli Usa scaricano la crisi sull’euro
di Superbonus

Gli Stati Uniti hanno deciso di uscire dalla crisi del debito con l’inflazione. Per abbattere il debito accumulato con gli stimoli all’economia e il soccorso alle banche le possibilità erano due: imboccare una strada di estrema austerità per molti anni a venire, oppure stampare denaro all’infinito riducendo il valore reale del debito e sperando che l’economia riparta prima dell’inflazione. Con la decisione del presidente Ben Bernanke – l’annuncio di acquisto di debito per 40 miliardi al mese – la Federal Reserve si è sostituita al Congresso e ha scelto la seconda strada giustificandola con l'"eccessiva e perdurante disoccupazione", una motivazione populista e pre-elettorale per coprire un ragionamento ben più cinico che porterà a una svalutazione del dollaro, una diminuzione delle importazioni e un aumento del tasso d’inflazione.
Una mossa azzardata perché fatta in un momento in cui l’economia americana già cresce al 3 per cento annuo e la massa monetaria circolante è ai massimi di sempre. Una mossa ancora più azzardata se si pensa che la Federal Reserve comprerà mutui erogati alle famiglie dalle banche commerciali riducendo così ulteriormente i già bassi tassi dei mutui e tentando di stimolare una nuova bolla nel settore immobiliare. Al contrario delle misure annunciate dalla Bce, che prevedono interventi in caso di eccessivi ribassi dei titoli di Stato e li subordinano a un preciso piano di rientro dal debito, la Banca centrale americana sta stimolando proprio il debito, sta facilitando l’emissione di titoli governativi e incentivando l’erogazione di mutui alle famiglie.
Il timore è di star assistendo all’inizio della seconda bolla finanziaria della storia stimolata da una Banca centrale, il primo esperimento di questo tipo fu fatto in Francia nel 1717 dal banchiere scozzese John Law che, diventato ministro delle finanze del Re, iniziò a emettere carta moneta in quantità illimitate. Il risultato fu
un disastro inflativo senza precedenti che portò al collasso dello Stato francese e aprì la strada alla Rivoluzione. Bernanke si avventura ora sulla stessa strada con la sicurezza che “this time is different”, questa volta è diverso, con la sicurezza che le Banche centrali hanno gli strumenti e le conoscenze per governare l’inflazione e le crisi monetarie. Si potrebbe anche credergli se non fosse che Bernanke è lo stesso uomo che poco prima della crisi dei mutui subprime, nel 2007, affermava con sicurezza: “Siamo in un periodo di Grande Moderazione grazie alle politiche monetarie che condizionano il ciclo economico”. Si sbagliava.
La verità è che, purtroppo, gli Stati Uniti hanno deciso di scaricare la propria crisi sul resto del mondo sfruttando la posizione di supremazia del dollaro negli scambi internazionali. Stanno elevando una barriera commerciale invisibile utilizzando il tasso di cambio e uno stimolo fittizio all’economia attraverso la creazione di denaro dal niente. E quindi l’inflazione. I mercati hanno capito subito, tutti gli operatori sono corsi a convertire i dollari in attività reali portando le Borse sui massimi e spingendo in alto il prezzo delle materie prime. Qualcuno dirà che il prezzo del petrolio è schizzato verso l’alto anche a causa della crisi in medio oriente, e allora rame, cacao, mais, zucchero e cotone perché salgono a rotta di collo? La mossa di Bernanke non è un atto di politica monetaria, ma anche e soprattutto, di politica estera che è stato subito accolto dal ministro delle Finanze brasiliano, Guido Mantega, come la conferma che la “guerra dei cambi è ancora in atto” e con la promessa che la Banca centrale del Brasile vigilerà sul cambio. Lo stesso farà la Cina che non ci pensa neanche a rivalutare la propria moneta – cosa che danneggerebbe le esportazioni – e la terrà ben ancorata al dollaro con il risultato di aumentare ancora di più le spinte inflative sulle materie prime.
E l’Europa? L’Europa è il vaso di coccio. L’euro guadagna terreno sul dollaro e le nostre esportazioni e la nostra competitività ne perdono sempre di più. Chi, come la Germania, ha differenziato per tempo la base produttiva delle proprie industrie regge il colpo. Ma chi, come l’Italia, ha una struttura di piccole e medie imprese locali o di grandi imprese in crisi e con pochi nuovi prodotti su cui puntare, pagherà il prezzo della svalutazione americana. Non sappiamo se Bernanke avrà successo nel suo azzardo e riuscirà a far rientrare l’inflazione al momento opportuno, di certo possiamo dire che giovedì la Federal Reserve ha dichiarato una guerra valutaria. E che le prime vittime rischiano di essere i paesi periferici dell’area euro.

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