martedì 4 settembre 2012

Produttività: si lavora tanto ma male


da: La Stampa

Si lavora (tanto), ma si lavora male
In Italia siamo a 38 ore a settimana, più che in Germania, ma è mancata l’innovazione.
Si è perso il treno della rivoluzione informatica e la crisi penalizza le aziende piccole
di Raffaello Masci

Dovremmo lavorare di più, sollecitava ieri su questo giornale il sottosegretario all’Economia Gianfranco Polillo. La questione è annosa e più volte riproposta: se questo Paese va a ramengo, o rischia di andarci, è anche perché lavoriamo quantitativamente poco e abbiamo, invece, tante ferie e tante feste comandate, civili e religiose.I numeri dicono che è così, ma fino a un certo punto: non lavoriamo affatto di meno rispetto agli altri Paesi comunitari (e anche Ocse), ma - effettivamente - abbiamo più vacanze.

Ma soprattutto - è questo il cuore del problema - se la nostra economia va male non è per il monte ore lavorate, tant’è che Paesi mitici come Germania o Norvegia - solo per dirne due - lavorano molto meno di noi, ma hanno una crescita che noi ci sogniamo. La questione non è dunque il quanto ma il come. Tradotta in termini economici, è la produttività, e lì - in effetti- siamo a Caporetto: perché è mancata l’innovazione, perché abbiamo bucato la rivoluzione informatica, perché il tessuto delle nostre aziende è assai frastagliato e ha puntato sull’innovazione in maniera diversificata e discontinua. E infine perché l’Italia è l’Italia, e questo significa
una burocrazia che non aiuta, una rete dei servizi disomogenea, un sistema creditizio ostico, e perfino un regime fiscale che ti fa preferire di restare piccolo ma al sicuro piuttosto che grande e in mezzo al guado. Fatto sta che il dato composto tra ore lavorate e produttività espressa si traduce in una mazzata. Ma vediamo i numeri secondo i dati di Eurofond, l’agenzia comunitaria che si occupa delle condizioni di vita e di lavoro nei Paesi europei. Stando ai contratti di categoria, in Italia non si lavora poco: siamo a 38 ore settimanali contro le 37,7 delle Germania e le 35 della Francia (ma la disastrata Grecia lavora 40 ore).

Poi si vanno a vedere non le ore «contrattuali» ma quelle effettive (con straordinari e senza feste e ferie) e si scopre che le cose stanno diversamente: la Germania lavora di più eccome (40,5 ore), l’Italia si mantiene sulle 38 (38,5), ma più della Finlandia virtuosissima (37,8) e meno della non brillante Romania (41,3). Certo se andiamo a spulciare tra le ferie, siamo in alta classifica (con le 9 festività comprese) ma sempre sotto la Germania, a pari quota con la Danimarca. Sintesi del discorso: un piccolo sforzo nel lavorare di più forse lo possiamo anche fare, ma è del tutto evidente che non è quello che ci salverà. Perché il vero male dell’Italia è la produttività. Fatto 100 il valore della produttività europea nel 2000, l’Italia era a 116,8, la Germania a 124, la Spagna allora claudicante a 102, la brillante Francia a 137,9.

Dopo di che è passato il decennio in cui gli altri sono organizzati e noi no. Nel 2010 i valori erano abbastanza sconfortanti: la Germania, grande locomotiva, si era mantenuta su quei livelli (123,7), la Spagna che aveva fatto un forte sforzo di innovazione era risalita fino a 107,9, la Francia aveva mantenuto la sua invidiabile posizione e l’aveva addirittura migliorata: 140. E L’Italia? 101,5, un crollo - cioè - di oltre 15 punti, una débâcle, di più, una catastrofe. Nessun Paese comunitario è andato indietro così tanto in così poco tempo. E la cosa ha avuto anche un suo riflesso sulle retribuzioni. Facciamo un solo paragone, quello con la Germania, prima della classe: la media degli stipendi nel 2006 vedeva già i tedeschi prendere quasi il doppio dei nostri lavoratori (39.363 euro l’anno contro 23.406). Quattro anni dopo noi eravamo a 26.181, loro a 42.400. Noi lavoriamo oggi 1.679 ore l’anno, la Germania 1.658, la Norvegia - che è la ricca tra le ricche - appena 1702 ... 23 ore più di noi. Sarà il quanto si lavora o il come? 

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