venerdì 28 settembre 2012

Obama e Wall Street tifano Mario Monti, l’anti Silvio Berlusconi


da: la Repubblica

Obama e Wall Street tifano Monti
"E' lui il vero anti-Berlusconi"
La Casa Bianca confida nel premier italiano per proseguire il dialogo con la Germania. I timori degli Stati Uniti: "Silvio può tornare?"
di Federico Rampini

È quello che l’America voleva sentirsi dire. Non solo l’America dei mercati ma anche l’Amministrazione Obama, e alcuni grandi gruppi industriali che potrebbero (oppure no) tornare a investire in Italia. Monti rassicura su tutti i fronti, nel parlare a New York invia messaggi alla Casa Bianca e all’Europa. Fa un passo più avanti del solito nell’evocare un Monti bis. Si conferma nel ruolo di anello di congiunzione tra Germania e Stati Uniti; tra Germania e periferia Sud dell’eurozona. Si lancia in una puntigliosa difesa dell’euro, nelle stesse ore in cui in Italia Silvio Berlusconi attacca la moneta unica.

Il contesto è importante, il luogo dove avviene l’annuncio è al centro di un triangolo di relazioni internazionali. Il presidente del Consiglio è qui per l’assemblea generale dell’Onu, vetrina di statisti globali. Ma il raduno del Palazzo di Vetro serve anche
per tessere altre relazioni, contatti, verifiche su più livelli. Il Council of Foreign Relations, il più importante think-tank bipartisan di politica estera, ha preparato per Monti un “parterre” speciale.
Il moderatore che lo tempesta di domande, David Rubenstein, è uno dei capi del Carlyle Group, una potenza d’investimento nel private equity. E’ anche un grande mecenate progressista, ha legami storici col partito democratico, fu consigliere del presidente Jimmy Carter. Nell’audience molti sono come lui: grandi investitori e insieme personaggi dell’establishment politico. In prima fila sono rappresentati tutti i colossi di Wall Street (Bank of America, Morgan Stanley, Citigroup, Prudential, Paulson, Blackstone, Hsbc), le agenzie di rating S&P e Moody’s, i media più autorevoli dal New York Times al Wall Street Journal, diversi colossi industriali (Boeing, Lockheed, FedEx, Chevron), infine esperti di politica estera che fanno riferimento a Barack Obama o a Mitt Romney.

L’establishment americano è rappresentato al massimo livello. Il giorno stesso il Wall Street Journal ha “introdotto” questa conferenza con un titolone sui guai della Spagna seguito da: «È svanito l’effetto-Draghi». Mancano solo cinque giorni al primo duello televisivo Obama-Romney, l’ultima cosa che la Casa Bianca vuole in questo momento è un riesplodere della crisi europea. Monti sente questa pressione legittima dell’establishment americano.
Lo confermerà anche nella successiva intervista a Bloomberg Tv, precisando che la sua dichiarazione di disponibilità a continuare si rivolge in tre direzioni: «Alle forze politiche italiane dopo le elezioni, alla comunità internazionale, ai mercati».

Davanti al Council, il premier tiene a precisare che lui non ha piani, tantomeno vuole schierarsi oggi con questa o quella parte: «Visto che ho tre partiti nella mia maggioranza, due dei quali non si parlano, sarebbe destabilizzante se io lasciassi intravedere che propendo verso l’uno». Subito dopo, però: «Se le circostanze li porteranno a credere che io dovrò continuare a servire il mio paese, non mi tirerò indietro». Gli interlocutori premono: «Può assicurarci che non tornerà Silvio Berlusconi?» Monti risponde che no, questa garanzia non può certo darla. Subito dopo però il presidente del Consiglio si esibisce in un’appassionata difesa dell’euro, che in quel preciso momento Berlusconi sta attaccando in Italia. «Senza l’euro – dice Monti – non solo noi ma tutta l’Europa starebbe molto peggio. Ci ha dato regole di equilibrio nelle finanze pubbliche, una banca centrale indipendente, una cultura del mercato. Sono regole talvolta sgradevoli ma ci costringono a una modernizzazione indispensabile».

La triangolazione di New York (leader mondiali, governo Usa, mercati finanziari) consente a Monti di esplicitare qual è il suo ruolo oggi; e quindi cosa potrebbe renderlo indispensabile. Obama glielo ha riconosciuto più volte, individuando in lui un «traduttore del pensiero tedesco». A Obama del resto Monti rende omaggio per il suo «ruolo utile nella crisi europea » (leggi: le costanti pressioni della Casa Bianca in favore di politiche a sostegno della crescita). Monti ammette di essere «uno strano italiano, per via del mio attaccamento alla disciplina germanica ». Tra i suoi compiti vede quello di «impedire che le altre nazioni d’Europa diventino anti-tedesche », e d’altra parte di «spiegare ad Angela Merkel le conseguenze di politiche economiche tradizionali (leggi: austerity) applicate nei paesi più deboli». Il suo cruccio è che «i politici non dedicano attenzione sufficiente ai pericoli dei risentimenti nazionalisti, ai danni che possono nascere se le nazioni si mettono l’una contro l’altra».
Ha un messaggio specifico da rivolgere ai mercati, nella piazza finanziaria più importante del mondo: «Sono troppo lenti nel riconoscere i progressi che abbiamo fatto, mentre il Fondo monetario e la Bce ce ne danno atto». Riconosce a se stesso un vantaggio sugli altri capi di governo che sono dei politici: «In una fase in cui l’unione politica dell’eurozona sta avanzando di fatto, molti leader sono frustrati perché il loro potere decisionale si rimpicciolisce. Ma io m’intendo poco delle manovre di politica interna, mentre sono a mio agio nella dimensione europea».

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