lunedì 17 settembre 2012

L’autunno della ‘primavera araba’


da: la Repubblica 

L'autunno dello scontro nelle piazze che non vedono i frutti delle rivoluzioni 
di Gilles Kepel 

Il sanguinoso attentato di Bengasi, avvenuto la notte dell’undicesimo anniversario dell’11 settembre, ricorda al mondo che il terrorismo d’ispirazione islamica non è scomparso dopo le rivoluzioni arabe. Al di là della fascinazione tradizionale di Al Qaeda per i numeri simbolici, bisogna soprattutto notare che l’uccisione di quattro diplomatici americani, fra cui l’ambasciatore in Libia, avviene in un paese in cui la dittatura di Gheddafi è stata abbattuta grazie all’aiuto eccezionale degli eserciti occidentali, fra cui quello degli Usa.
E che l’attacco ha avuto luogo a Bengasi, città simbolo dell’alleanza fra i paesi occidentali e i rivoluzionari arabi, poiché proprio lì, il 19 marzo 2011, l’aviazione francese ha bombardato i carri armati di Gheddafi, salvando la città e la rivoluzione.
Questo simbolo è naturalmente disastroso per l’avvenire della Libia e interviene proprio mentre molti, in Occidente, s’interrogano sul futuro delle rivoluzioni arabe, si chiedono se non abbiano lasciato uscire, come la bottiglia di Sinbad il marinaio, il cattivo genio dell’islamismo radicale.
In Tunisia ci si pongono molte domande sullo sviluppo del movimento salafita, di cui ho potuto misurare la presenza in un luogo molto simbolico: la città di Sidi Bouzid, dove sono cominciate le rivoluzioni arabe con l’immolazione di Mohamed Bouazizi il 17 dicembre 2010. Di sabato, a Sidi Bouzid, i salafiti svolgono il ruolo della polizia nel suk e sono loro a controllare la più importante moschea della città. Un ex di Al Qaeda è il maitre à penser di Ansar al Sharia, organizzazione che porta lo stesso nome di quella libica che ha rivendicato l’attentato contro il consolato americano.

E’ importante anche sottolineare quali armi sono state utilizzate, armi da guerra. Sono stato a Bengasi ai primi di luglio e sono stato impressionato dall’arsenale militare eccezionale di cui dispongono le milizie e i “rivoluzionari” sul posto. La Cirenaica, di cui Bengasi è la metropoli, è la regione in cui c’è stata una forte resistenza islamica sotto il regime di Gheddafi. Non lontano da Bengasi, la città di Derna ha avuto proporzionalmente il più gran numero di combattenti in Afghanistan e di prigionieri a Guantanamo. Ciò nonostante, alle elezioni del Parlamento libico, il 7 luglio scorso, i movimenti islamici, contrariamente all’Egitto e alla Tunisia, non hanno conquistato la maggioranza. Il movimento islamista libico è profondamente diviso e frammentato in una miriade di partitini. La principale figura dell’islamismo libico, Abdel Hakim Belhadj, non è riuscito a essere eletto deputato, malgrado si sia sforzato di presentarsi come rappresentante di un partito democratico. La maggior parte dei suoi adepti, a causa del mancato successo salafita, ha ritrovato la strada della clandestinità e della lotta armata, resa più facile dalla debolezza dello Stato centrale e dagli impressionanti armamenti ancora in mano alle diverse fazioni rivoluzionarie. A Bengasi molti pensano che Tripoli abbia spoliato la città del suo ruolo pioniere nella rivoluzione e recuperato tutti i poteri: l’insieme di queste circostanze spiega perché proprio li è stato possibile l’attentato anti-americano.
Certo, si tratta di un colpo durissimo per la ricostruzione della Libia, poiché il pretesto di questo attentato è stata la diffusione su internet di un film accusato di oltraggiare il Profeta dell’islam, un po’ come le caricature apparse nel 2005 sul giornale danese Jyllands-Posten.
Nel mondo arabo ci sono manifestazioni sanguinose non per condannare l’attentato, ma per protestare contro un nuovo affronto che sarebbe stato fatto all’islam. Le voci di piazza dicono che il film è stato finanziato da un copto e da un israeliano-americano, il che rende più acute le tensioni in Egitto, dove la comunità copta resta traumatizzata dalla vittoria di Mohamed Morsi. Anche in Tunisia, dove i salafiti hanno denunciato il film, un partito laico ha emesso un comunicato per denunciare l’oltraggio al sacro e al Profeta.
Tutto ciò mostra come l’opinione pubblica araba possa essere mobilitata da agitatori politici attorno alle questioni del sacro e come Al Qaeda, che si pensava oscurata dalla primavera araba, sia capace, insieme ai salafiti, di tornare alla ribalta, forse temporaneamente. Lo fa approfittando delle frustrazioni e dello scontento di popolazioni che un anno e mezzo dopo la caduta dei tiranni hanno l’impressione di non aver ricevuto nessun frutto della rivoluzione: la disoccupazione e la miseria aumentano, la più grande libertà non impedisce fatti tragici come il naufragio, pochi giorni fa, di 50 clandestini tunisini al largo di Lampedusa.
E’ d’altronde significativo che il primo cadavere recuperato dai soccorritori italiani sia stato quello di un ragazzo proveniente da Sidi Bouzid, la città simbolo della rivoluzione. In arabo fuggire verso l’Europa si dice harragache, vuol dire letteralmente bruciarsi: è lo stesso termine utilizzato per descrivere l’immolazione di Mohamed Bouazizi.

Nessun commento:

Posta un commento