martedì 25 settembre 2012

Intervista a Silvio Berlusconi di Huffington Post Italia





Silvio Berlusconi: "Mario Monti condizionato dalla sinistra" e "troppo ligio alla Merkel"."Germania stato egemone". "Renata Polverini non ha fatto niente di immorale"
di Alessandro De Angelis


"Renata Polverini non ha fatto niente di immorale né di illegittimo, apprezzo la sua scelta". "Rinnovamento del partito? Quel Fiorito ha 41 anni". Così Silvio Berlusconi, ieri notte appena dopo le dimissioni della governatrice del Lazio, aggiorna l'intervista concessa all'Huffington Post, la prima a un media online, alle cinque e mezza di venerdì 21 settembre.
All'appuntamento a palazzo Grazioli l'ex premier si presenta tonico. "Ho perso otto chili, hai visto che forma?".
Abbronzato. La dieta di Berlusconi pare scandire il timing della ridiscesa in campo. "Altri quattro chili e sono a posto". Sorseggia un tè. Nonostante l'aspetto rilassato, però, nell'intervista si rivela il solito guerriero.
Non è contento del governo attuale che pure dichiara di appoggiare: dal premier
“vorremmo più coraggio” dice,“sul governo Monti ha pesato il condizionamento della sinistra”. Non è contento di come il presidente del consiglio tratta con la nazione della Merkel : "Io sarei stato meno ligio con la Germania”. Ed è proprio per la Germania che ha le parole dure, consapevolmente sfidando i precari equilibri europei: “Un stato egemone che detta ad altri paesi europei la regola del rigore e dell’austerità”.
La sua ricetta di politica economica infatti continua a essere diversa. "Io non avrei aumentato le tasse". "C'è un clima da stato di polizia tributaria". Ripete che vuole abolire l'Imu sulla prima casa e, a sorpresa, spiega di voler trovare i soldi con l'accordo fiscale anti-evasori con la Svizzera. "Ora il premier cambi passo e punti sulla crescita".
Dei tecnici pensa che "sono diventati protagonisti della politica". Ma, aggiunge, "io stesso mi considero un tecnico sceso in politica". Si mostra disponibile a nuovi sviluppi per il suo partito ("Primarie? Non ho difficoltà a competere") e per i moderati: "Sono disposto a sostenere con tutto il cuore un candidato che non sia io". Sara Monti? "Non è un errore che Monti sia un candidato perfetto dei moderati. Ma deve candidarsi".
Sulle tensioni dei mesi passati, in alcuni casi, non ha cambiato opinione: "Fini ha tradito e ha dato un contributo all'antipolitica". Su altri ha perdonato: "Tremonti lo aspetto a braccia aperte se vuole essere nostro alleato". Sui nemici di oggi ha le idee chiare: "Tra i grillini ci sono giovani animati da una sincera volontà di impegnarsi. Ma hanno poco a che fare con Grillo, che resta uno straordinario istrione". E Renzi "ha anche lui le sue cadute demagogiche". Su un solo punto non cambia mai opinione, i nemici di sempre: "L'Italia può tornare in mano ai comunisti".

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“Apprezziamo la scelta di Renata Polverini, che pur non avendo compiuto nulla di immorale né di illegittimo, ha ritenuto, di fronte alle gravi emergenze venute alla luce nell'utilizzo dei fondi pubblici, di consentire con le sue dimissioni un cambiamento dell'amministrazione”. Renata Polverini si è appena dimessa. Silvio Berlusconi l’ha invitata per giorni a resistere. Ora ne difende la scelta del passo indietro.

Allora Presidente Berlusconi, qual è la lezione del Lazio? Serve un rinnovamento del partito?
Rinnovamento? Quel Fiorito non è una faccia vecchia, ha 41 anni anche se gliene davo 60. Certo che bisogna immettere personalità nuove, ma non sempre basta essere giovani. Bisogna essere giovani e capaci, giovani e professionali. L’unica cosa da evitare è il professionismo della politica, quello di chi ha alle spalle trent’anni in parlamento e quando va in televisione la gente non ne può più. Io vorrei che in televisione andassero solo i giovani.

Parliamo di Monti, o meglio di un anno di Monti. Il suo partito, in questo anno, ha votato tutti i provvedimenti, sia pure con qualche mal di pancia. Gli atti concreti parlano di un chiaro sostegno all’esecutivo, le sue parole nelle ultime esternazioni un po’ meno. Come giudica i risultati?
Il professor Monti era sulla carta il miglior presidente del consiglio per un governo d’emergenza che avesse l’appoggio sia della maggioranza sia dell’opposizione e potesse fronteggiare al meglio la crisi. Io per primo lo avevo indicato a suo tempo come commissario europeo, e a Bruxelles non ci ha deluso.

A palazzo Chigi l’ha delusa?
A palazzo Chigi è partito bene, con una politica di continuità rispetto a leggi di bilancio, riforme e provvedimenti assunti dal mio governo in accordo con l’Europa nella lettera di impegni, e relative scadenze del 26 ottobre 2011, approvata dal Consiglio europeo la sera stessa in cui è stata inviata. Vorrei ricordare che negli anni della crisi è stato il mio esecutivo a mettere in sicurezza i conti dello stato, varando manovre di finanza pubblica per 265 miliardi rispetto ai 60 del decreto “Salva-Italia” di Monti, in modo da raggiungere il pareggio di bilancio nel 2013, come richiesto dalla Banca centrale europea, con un anno di anticipo rispetto alle previsioni iniziali. Ricordo pure di avere detto no ad assoggettare l’Italia al programma della Troika al G20 di Cannes il 4 novembre 2011.

E allora in cosa non coincide la sua idea con quella di Monti?
Purtroppo, nel momento in cui si doveva accompagnare l’austerità con la crescita, ha pesato sul governo Monti il condizionamento della sinistra: i veti del Pd sulla riforma del mercato del lavoro hanno interrotto l’azione riformatrice. Il professor Monti ha preferito aumentare le tasse invece di rimettere in moto produzione e consumi. E noi abbiamo assunto un doveroso atteggiamento critico verso una politica ormai esclusivamente recessiva. Vorremmo più coraggio. Avergli dato fiducia e averlo sostenuto finora in parlamento dimostra la lealtà, la serietà e la coerenza con cui abbiamo voluto onorare la scelta “patriottica” delle dimissioni a novembre. Fermi restando rigore nei conti e pareggio di bilancio, è ora opportuno che il governo Monti cambi il passo della politica economica, puntando allo sviluppo.

Lei che cosa avrebbe fatto di diverso se fosse stato al governo?
Anzitutto non avrei aumentato la pressione fiscale. E non avrei imposto il tetto dei mille euro per i pagamenti in contante. Si è creato un clima nel quale i cittadini rischiano di sentirsi prigionieri di uno stato di polizia tributaria che controlla accanitamente tutte le espressioni di spesa e, quindi, di benessere.

Lei ha promesso che in caso di vittoria abolirà l’Imu. Ha un’idea anche di come finanziare questo provvedimento, visto che il problema è economico?
L’Imu riguarda la prima e la seconda casa con un gettito suddiviso tra lo stato e i comuni, ed è di fatto un’imposta patrimoniale se consideriamo anche la rivalutazione degli estimi catastali. La nostra proposta è abolire l’Imu sulla prima casa. Una tassa intollerabile per gli italiani, che diversamente dal resto d’Europa abitano per l’80 per cento nella casa di proprietà. L’Imu andrebbe considerata una imposta “una tantum” per l’emergenza, un pronto soccorso che dovrebbe trasformarsi in Imu federale soltanto sulle seconde case. Il mancato introito potrebbe essere recuperato attraverso il nostro piano di attacco al debito pubblico per 400 miliardi di euro, proposto dal Pdl e pubblicato fra l’altro dal Sole24Ore.

Può fare un esempio concreto di come coprirebbe l’Imu?
La stipula delle convenzioni fiscali con la Svizzera, sul modello di quelle già stipulate tra la Svizzera e la Germania e la Gran Bretagna, potrebbe già coprire più del doppio del gettito che verrebbe a mancare in un anno dall’Imu sulla prima casa. Invece di gravare sulla casa, il pilastro sul quale ogni famiglia ha il diritto di fondare la sicurezza del proprio futuro, invece di deprimere il mercato immobiliare impoverendo tutti gli italiani, dobbiamo puntare a ridurre gli sprechi e abbattere il debito, rilanciando i consumi e, quindi, il lavoro.

E in Europa?
Rispetto a Monti sarei stato meno ligio alla Germania, uno stato egemone che detta agli altri paesi europei la regola del rigore e dell’austerità, con la pretesa che attraverso l’austerità si possa ridurre il debito. Ma questa è un’illusione: il debito pubblico si diminuisce con l’aumento del Pil, che significa sviluppo e crescita.

Presidente, lei non pensa che le sue parole su Monti, le sue critiche alle politiche europee siano proprio la causa delle preoccupazioni delle cancellerie europee sul dopo Monti? Insomma, col suo programma, se c’è già un programma, l’euro è più sicuro o meno?
Le cancellerie europee sono preoccupate non per me o per quello che dico io, ma per un quadro politico italiano oggettivamente frammentato e per un’architettura istituzionale che impedisce a qualsiasi governo di fare il proprio lavoro, cioè di decidere. Perciò non mi stanco di insistere sulla necessità della riforma dell’architettura istituzionale. Riguardo all’euro, ho detto con assoluta chiarezza, e lo ripeto, che sono stati commessi degli errori sia introducendolo sia lasciandolo rivalutare rispetto al dollaro, ma oggi sarebbe difficile uscire dall’Eurozona.

Facciamo chiarezza una volta per tutte: lei vorrebbe l’Italia dentro o fuori dall’euro? Quali sono gli scenari?
Ci sono tre possibilità. La prima: convincere la Germania che non possiamo andare avanti solo con l’austerità. La seconda: che la Germania esca dall’euro, un’ipotesi non fantascientifica se le stesse banche tedesche hanno valutato la possibilità della sostituzione dell’euro con il marco e, terzo, che escano dall’euro gli altri paesi, il che però significherebbe la fine della moneta comune e la rottamazione dell’Europa.

E quale di queste tre ipotesi preferisce?
La numero uno: convincere la Germania.

Allora come si esce da questa situazione?
Il problema è quello di riformare l’Unione europea e attribuire alla Bce le prerogative di una vera banca centrale, compreso il ruolo di garante dei debiti sovrani di tutti gli stati che hanno ceduto il loro diritto di stampare moneta all’Unione europea e per essa alla Bce, rendendo così aperti al rischio di default i loro debiti sovrani. Ricordo che il Giappone ha il 238 per cento di debito rispetto al Pil, ma riesce a collocare i suoi titoli all’1 per cento perché ha una vera banca centrale che stampa moneta.

Bene, lei ha parlato di “recessione”. E ha criticato il Fiscal compact perché impedirebbe la crescita. È lo stesso Fiscal compact che fu negoziato dal suo governo e votato dal Pdl. Come mai ora lo critica? È cambiato qualcosa? Lei sa quanto è delicato il punto per il governo Monti che lei appoggia: la sua critica è una richiesta di cambiamento al governo o si tratta di un’analisi astratta?
Da capo del governo ho condotto a Bruxelles sul Fiscal compact una battaglia solitaria, perché la Francia era perfettamente allineata alle posizioni rigoriste della Germania. Ho addirittura posto il “veto” sul progetto iniziale bloccando la discussione, e ottenuto che si valutassero nei calcoli del Fiscal compact i cosiddetti “fattori rilevanti”, cioè gli elementi oggettivi a favore dell’economia italiana (come il risparmio privato, delle famiglie e delle aziende, e la solidità del sistema bancario). Deve poi essere calcolato il nostro Pil globale, aggiungendo cioè al Pil emerso anche il Pil sommerso, così da ridurre a sotto il 100% la percentuale del nostro debito rispetto al Pil. In parlamento abbiamo votato il Fiscal compact per senso di responsabilità, ma anche sulla base di un ordine del giorno che richiamava i regolamenti promossi dall’Italia in sede europea, regolamenti che impongono di tener conto dei “fattori rilevanti” che ho appena citato e per i quali mi sono personalmente battuto a Bruxelles. Ecco, bisogna continuare a difendere in Europa questa nostra posizione chiarissima.

Andiamo con ordine. Monti ha detto che per risanare il paese aveva messo in conto una fase recessiva. Ma la ragione della richiesta del suo abbandono di palazzo Chigi lo scorso novembre non era proprio quella di non far entrare l’Italia in recessione?
No. La ragione del passo indietro era politica. È stato un gesto di responsabilità verso il paese. Il mio governo, e io personalmente, siamo stati a lungo oggetto di una pesantissima campagna mediatico-giudiziaria e di speculazione, interna e internazionale. Oggi è evidente a tutti che la responsabilità dell’innalzamento dello spread non era mia o delle misure prese dal mio governo. Lo spread, rimasto pure con Monti sull’ottovolante per mesi, fino a quota 536 punti base il 24 luglio scorso, è diminuito solo quando Mario Draghi ha dichiarato l’impegno della Bce a fare tutto il necessario per soccorrere i Paesi debitori acquisendo titoli di stato dei paesi in difficoltà. Sono fiero di aver determinato, da capo del governo, la nomina di Draghi alla Bce. La recessione è un problema diverso. Ho già spiegato che il governo Monti ha agito sempre con la pistola puntata alla tempia da parte dell’Europa. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: la recessione. Qualcuno nella sinistra aveva addirittura sostenuto che con le mie dimissioni lo spread sarebbe diminuito di 300 punti base…

Invece?
Tutti hanno capito che lo spread altro non è che il premio per il rischio che gli investitori ritengono di correre acquistando titoli di uno stato che non ha più la possibilità di stampare moneta, esponendo così, lo ripeto, il proprio debito sovrano al rischio di default.

Questo ci porta fatalmente alla ricostruzione di quel che è stato. Lei in questi mesi ha appoggiato lealmente il governo Monti. Le chiedo: alcune volte e di fronte ad alcuni fatti, non si è trovato a dire “tanto valeva che restassi”?
Può darsi. Ma i nostri governi sono stati sempre governi di coalizione, non essendo io riuscito a convincere gli italiani a darci il 51 per cento dei parlamentari. Questo ha rallentato, complicato e a volte impedito ogni decisione. L’ambizione personale di alcuni alleati li ha portati a sabotare l’azione del governo sui singoli provvedimenti e a dissociarsi, facendo venir meno i numeri indispensabili per realizzare i provvedimenti stessi. Nonostante questo, negli anni dei nostri governi sono state approvate più di 40 riforme e sono stati tenuti i conti pubblici in ordine senza mettere mai le mani nelle tasche degli italiani.

Presidente, lei è un uomo che ha sempre avuto molto a cuore quello che la storia avrebbe pensato di lei. Oggi, a un anno dal governo Monti, con quale aggettivo definirebbe il suo abbandono di palazzo Chigi?
Una scelta responsabile perché non essendo stato sfiduciato, pur essendo convinto che l’alto livello degli spread non fosse colpa mia e del mio governo (come poi è stato dimostrato) e avendo ancora la maggioranza nelle due Camere, ho ritenuto che in quel frangente fosse opportuno dare vita a un governo tecnico che fosse sostenuto da maggioranza e opposizione.

Ai ministri di Monti viene riconosciuta credibilità e competenza. Avrebbe voluto avere almeno uno dei ministri di Monti nel suo governo? Se sì, quale?
Molti degli attuali ministri sono persone di valore ai vertici nelle rispettive professioni o nella pubblica amministrazione e hanno anche collaborato con noi nei nostri governi. Il ministro dell’Economia, Vittorio Grilli, ad esempio, mi ha affiancato tante volte nei Consigli europei e sa bene quali battaglie abbiamo dovuto sostenere insieme per difendere gli interessi dell’Italia.

A proposito di ministri “tecnici”. Lei vede un cambiamento di atteggiamento da parte di questi ministri, o di alcuni di loro, diciamo una trasformazione dei “tecnici” in “politici” in vista delle elezioni?
Quella tra tecnici e politici è una distinzione molto labile. Nel momento in cui sono entrati nel governo, i tecnici sono diventati protagonisti della politica. Molti di loro già avevano una lunga esperienza di lavoro al fianco della politica. Io stesso mi considero un tecnico sceso in politica, perché tecnico è non soltanto chi insegna in una Università ma, anche e soprattutto, chi ha sviluppato con successo una competenza pratica sul campo. L’importante è non essere professionisti della politica, ma essere arrivati alla politica avendo già una propria attività di successo: imprenditoriale, d’insegnamento, professionale, amministrativa... La politica più alta è un servizio, è mettere al servizio degli altri, della comunità nazionale, le proprie competenze, le proprie energie e il proprio entusiasmo.

La politica però è anche potere…
Non è solo potere o lotta di potere. Anche perché in Italia, a chi governa, la Costituzione non ha conferito alcun potere.

Il presidente Monti sta lanciando segnali al centrodestra. Ha dato un giudizio positivo su Forza Italia, durante il seminario del Ppe di Fiesole, si è dichiarato culturalmente vicino ai Popolari europei, è stato molto critico sullo statuto dei lavoratori. È un errore dire che potrebbe essere il candidato perfetto dei moderati o, come dice lei, di tutti gli italiani alternativi alla sinistra?
Non è un errore, ma per essere candidato occorre innanzitutto volersi candidare. Aspettiamo e vedremo.

Parliamo delle prossime elezioni. Lei in questo momento esita a dire se scende in campo o meno, e questo è comprensibile. E ha legato la sua decisione alla legge elettorale. Al netto di tutti i difetti di questo bipolarismo, lei ritiene che la possibilità di scegliere tra due schieramenti sia un valore da preservare? In altri termini: la sera del voto gli italiani devono sapere chi va a palazzo Chigi?
Io continuo a difendere il bipolarismo. Guai a tornare alla prima Repubblica, quando gli accordi si facevano dopo il voto.

A monte, però, c’è il ruolo che lei assegna alla sua discesa in campo. Lei ha sempre deciso di scendere in campo con un’idea molto forte del suo ruolo. Prima è stato per salvare l’Italia dai comunisti (nel ’94), poi, in un secondo periodo, dal 2001 in poi, si è presentato come il campione italiano per la libertà economica (tasse) e per quella individuale (intercettazioni e privacy). Ora una sua ridiscesa in campo è necessaria per difendere l’Italia da cosa? Da quale drago il suo San Giorgio deve salvare l’Italia?
La leggenda di San Giorgio e il Drago risale al tempo delle crociate. Oggi non è più tempo di leggende e crociate. Ci troviamo di fronte a problemi e a pericoli concreti. Il primo fra tutti è che l’Italia torni in mano alla vecchia nomenklatura del Pci che ha aspettato tre anni dopo il crollo del muro per cambiare nome. Perfino i russi hanno rinnegato il comunismo in anticipo su Occhetto, D’Alema, Bersani, Fassino, Veltroni.

Ancora ci sono comunisti in Italia?
Ci sono ancora in Italia partiti che si definiscono comunisti. Ma soprattutto bisogna scongiurare che l’Italia finisca in mano a soggetti che in comune non hanno proprio nulla. Io stesso ho avuto problemi con i miei alleati, eppure partivamo da basi comuni che sembravano solide. Cosa potrà mai accadere all’Italia governata da un’armata Brancaleone che comprende Vendola e Casini, Bersani, la Bindi e Di Pietro?

Accetterebbe di confrontarsi attraverso primarie di partito con altri candidati?
Non ho mai avuto difficoltà a mettermi in gioco e a competere con altri.

Lei è disposto a sostenere un candidato che non si chiami Silvio Berlusconi per costruire un nuovo centrodestra?
Certamente sì e con tutto il cuore.

Nella sua esitazione a candidarsi, quanto incide la paura di quello che lei chiama “accanimento giudiziario”?
Nessuna paura. Ho sempre trovato un giudice a Berlino, non sono mai stato condannato nonostante un accanimento giudiziario che non ha eguali nel tempo e nel mondo, e che purtroppo ha già interferito nella storia d’Italia. Nel ‘94, un avviso di garanzia pubblicato sul Corriere della Sera provocò, con l’intervento di Scalfaro, una crisi con i miei alleati leghisti che fece cadere il governo e allontanò per anni l’avvio delle riforme. E tutto per un’accusa dalla quale anni dopo, troppo tardi, fui giudicato innocente con formula piena “per non aver commesso il fatto”. No, l’accanimento giudiziario non mi ha mai impedito e non mi impedirà mai di fare ciò che sento il dovere di fare, nell’interesse del Paese che amo.

Presidente, a proposito di centrodestra, facciamo il bilancio di un altro esperimento, il Pdl. Un punto colpisce di questi anni: la distanza al suo interno tra le culture politiche è rimasta immutata. Voglio dire dentro FI c’erano ex Dc, ex Psi, ex tutto ed ex niente, ovvero un personale politico nuovo ma il partito sembrava un partito unito; il Pdl – basta vedere le posizioni su Monti – non pare un amalgama ben riuscito. Lo sente ancora come il corpo attraverso cui far camminare le sue idee?
Questo è il destino dei grandi partiti ed è anche la loro ricchezza. Succede, per fare un solo esempio, anche ai repubblicani e ai democratici negli Stati Uniti. È successo alla Dc, che nel Dopoguerra ha garantito la nostra rinascita economica nella democrazia e nella libertà. E valeva per Forza Italia, che nel ‘94 ha impedito che l’Italia cadesse in mano alle forze illiberali della sinistra. Detto questo, la concezione liberale vuole che le idee camminino sempre non attraverso i partiti, ma grazie a leader dotati di carisma e di credibilità.

La mia sensazione è che l’assetto elettorale del 2013 sia ancora tutto da costruire. E ho la sensazione che lei voglia lavorare su una novità. Ha più volte esternato la sua simpatia per Renzi, e chissà se gli ha fatto un regalo o dato il bacio della morte. Ma la domanda è: se Renzi si candidasse a leader del paese fuori dal Pd sulla base di un suo programma per l’Italia, lei lo sosterrebbe, o quantomeno sarebbe tentato dal farlo?
A proposito di Renzi e del suo programma mi sono limitato a osservare che sarebbe un bene per l’Italia se potessero confrontarsi due culture e due schieramenti diversi, ma entrambi d’ispirazione democratica ed europea: uno popolare e uno socialdemocratico. Finché nel Pd prevarranno i post-comunisti, questo non sarà possibile.

Renzi bombarda l’establishment del centrosinistra. E Beppe Grillo? Fa male soprattutto a sinistra, o anche a lei e alla sua area politica? La definizione di “fascista” è corretta per Grillo?
Grillo è un attore brillante che ha saputo abilmente sfruttare le potenzialità della rete per interposta persona, e che attenendosi scrupolosamente a un copione scritto, ha cavalcato e cavalca una protesta legittima contro la degenerazione di una certa politica fondata sull’incompetenza e sul privilegio.

Ma Grillo la spaventa o no?
No, perché non è riuscito a proporre qualcosa di costruttivo, e soprattutto non sarebbe proprio in grado di governare. L’Italia non ha bisogno in questo momento di salti nel buio, ma di una guida esperta e capace. È significativo che i candidati grillini preferiscano non apparire in pubblico, non confrontarsi. Tra loro ci sono giovani animati da una sincera volontà di impegnarsi nella vita civile e questo è un bene, vanno rispettati. Ma hanno poco a che fare con Grillo, che resta uno straordinario istrione e nella vita ha costruito soltanto un successo teatrale.

Presidente, torniamo indietro. E mettiamola così, senza tanti giri di parole. Questa situazione politica è frutto anche della crisi della sua maggioranza. Sappiamo, lo ha chiarito più volte, quali responsabilità attribuisce a Gianfranco Fini. Col senno di oggi è pentito di non aver puntato sulle elezioni anticipate, quando era ancora nel novero delle possibilità?
Fini porta la responsabilità di avere indebolito con il suo tradimento una maggioranza e un governo che avevano un programma valido per rinnovare l’Italia, senza contare che con la fondazione dell’ennesimo partitino ha dato anche un contributo all’antipolitica. Se allora mi fossi dimesso non avrei fatto il bene del paese. Ho ritenuto che gli italiani avessero diritto a un governo che portasse a conclusione il suo mandato. Poi è accaduto quel che sappiamo.

L’idea che mi sono fatto in questi anni è che Fini l’ha indebolita numericamente, ma politicamente è ancora tutto da raccontare il male che le ha fatto Tremonti. Ricordiamo quando prima di Cannes, in un burrascoso faccia a faccia, Tremonti le disse che finché lei fosse stato a palazzo Chigi, sarebbe stato impossibile rassicurare i mercati: “il problema sei tu”, la famosa frase. Se avesse potuto, avrebbe cambiato ministro dell’Economia? E se nel futuro Tremonti farà una lista, lo vorrà alleato del Pdl?
Quella frase io non l’ho mai sentita. Ho voluto Tremonti come ministro dell’Economia per ben due volte nei miei governi e ho sempre avuto fiducia in lui. Se vorrà essere nostro alleato lo accoglieremo a braccia aperte. Ma indipendentemente da Tremonti, il problema dell’Italia è che il Presidente del Consiglio non ha poteri reali. Non può cambiare un proprio ministro, non può decidere autonomamente di utilizzare i “decreti-legge” immediatamente efficaci, ha come unico strumento il “disegno di legge”, che poi esce dal parlamento solo dopo 550-600 giorni, completamente stravolto. E se il provvedimento non piace, in tutto o in parte, alla sinistra, un pm di Magistratura democratica lo impugna e lo porta all’esame della Corte Costituzionale che, essendo costituita da 11 membri di sinistra e da soli 4 membri di centro-destra, inderogabilmente abroga la legge o le parti di legge impugnate. Questo sistema, se vogliamo che l’Italia funzioni, va assolutamente cambiato attraverso la riforma della Costituzione.

Torniamo al futuro. Lei ha detto che ha una simpatia per Renzi, perché in Renzi vede una serie di novità obbligate per la politica. A dirlo esplicitamente, Renzi chiede l’azzeramento dell’attuale gruppo dirigente del suo partito e il tetto di due mandati in Parlamento. Lei è pronto ad accogliere queste due richieste per il Pdl?
Anche Renzi ha le sue cadute demagogiche. Credo che i cittadini debbano avere la libertà di scegliere i loro candidati in Parlamento. Il tetto di due mandati può valere per certe cariche esecutive. Vale ad esempio per il presidente degli Stati Uniti d’America. Quanto al gruppo dirigente del Pd, l’esigenza di un rinnovamento è assolutamente auspicabile.

Un’ultima domanda, presidente. A torto o a ragione la sua vita privata è stata il terreno di una guerra civile. Sul suo privato lei ha diritto, come tutti, al rispetto. Sul versante politico di questo privato, la domanda è: con l’occhio di oggi rifarebbe tutto, intonando “My way”?
Mi sono sempre comportato correttamente, in privato e in pubblico. Non ho mai fatto nulla contro la legge né contro la morale. Tutto il resto è disinformazione e diffamazione. L’uso della giustizia per eliminare gli avversari politici è una patologia grave della nostra democrazia.

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