lunedì 10 settembre 2012

Francesco De Gregori: “Faccio parte della letteratura italiana, non più di Antonacci e Ferro”



In questa intervista, De Gregori rifiuta l’appellativo di poeta e afferma di far parte della letteratura italiana né più né meno come Ferro e Antonacci. 

Non mi pare il caso di buttarsi così giù…

Con tutto il rispetto per Tiziano Ferro (che seguo) di Biagio Antonacci (che non mi piace come Ferro, ma il suo ultimo album è il migliore che ha fatto da anni), Francesco De Gregori è altro. Per contenuto e stile, De Gregori è nettamente superiore. Non ha nulla da inviare a Dylan e Cohen. Cosa che non si piuò dire per Ferro e Antonacci che sono altra roba…

da: La Stampa

De Gregori: io, cantautore non più di Antonacci e Ferro
In “Finestre rotte” l’artista si racconta: “Ora posso rischiare”
di Michela Tamburrino

In fondo, come canta Francesco de Gregori, non c’è niente da capire; di un artista, di un grande artista, a spiegare, a certificare il percorso lungo 40 anni senza compromissioni stonate, sono le canzoni. E non c’è niente da capire anche se questo percorso diventa film che documenta una tournée, su e giù dalle Dolomiti alla Sicilia, da una Roma calda e avvolgente passando per una Torino algida e asettica; un modo di essere Francesco De Gregori che non indulge alla cinepresa ma registra il suo stare con gli artisti scelti lungo il cammino. Finestre rotte di Stefano Pistolini, prodotto da Rai Cinema per le Giornate degli Autori, è tanto perché non è molto di più, guardarsi attraverso vetri sbrecciati che offrono un varco più ampio alla vita e una possibilità in più per conoscere un autore al di là dell’icona. «Né biografia né storia ma istantanea del presente», era nelle premesse.


De Gregori, insidiosa l’idea di un film su se stessi.
«Ho capito che non aveva nulla del celebrativo e neanche di promozionale, riguardava il mio percorrere la strada da musicista, dare un senso al movimento senza una precisa progettualità».

Perchè adesso?
«Posso rischiare. Un anno fa mi sono detto, compio 60 anni senza mai un’incursione nel cinema, era arrivato il momento di raccontare quello che ero e apparivo».


Una bella differenza?
«A volte appaio diverso anche a me stesso. Non ho la chiave del 100% di me. Vedermi mi ha anche stupito».

Che impressione le ha fatto il film?
«Prima mi sono augurato fosse indolore, durante mi sono divertito, vedendolo me ne sono compiaciuto. Un’ora e mezza a parlare di me senza noia né paura. Scava a fondo nel mio modo di fare il mestiere, gli restituisce dignità, proprio qui a Venezia dove emerge spesso il senso vacuo della popolarità. Nel film si testimonia la sostanza».

Nel film c’è Giovanna Marini con cui ha inciso un disco, Ambrogio Sparagna, famoso organettista, entrambi studiosi di musica popolare, Cristina Donà e Vasco Brondi. Che rapporto ha con i colleghi?
«Con alcuni ci sono stati momenti di sintonia, poi ognuno è tornato per la sua strada. Con tutti è stato così tranne che con Lucio Dalla».

Perché questa eccezione?
«Abbiamo fatto un grande lavoro insieme a fine Anni 70 mai più pensando di tornare insieme. Poi, come una malattia esantematica abbiamo sentito la necessità di ritrovarci, due anni fa, con un risultato incomprensibilmente migliore di quello fatto prima».

Lei detesta la definizione di cantautore, si sente un poeta?
«Non mi piacciono le parole composte come cantautore ma lo sono. Poeta no, parlando al contemporaneo, poeti sono Caproni, Penna, Cucchi, gente che non ha a che fare con la chitarra. Faccio parte della letteratura contemporanea, non più di Antonacci o Tiziano Ferro».

Che peso ha la politica nella sua vita artistica?
«Avendo scritto Viva l’Italia, non posso negare come la penso. Eppure, paradossalmente, non è una canzone politica, è una dichiarazione d’amore per un paese che ha due anime. Oggi però quella spinta la sento meno. Non mi sveglio più la mattina pensando alla politica».

Prima accadeva?
«Prima accadeva».

Le canzoni che sono nel film come sono state scelte?
«Loro mi seguono e cambiano con me, un po’ come la mia voce. Sono lì per caso tranne quella che chiude il film, La leva calcistica della classe ‘68.

Prima la musica o prima le parole?
«Nessun predominio dell’una sull’altra, piuttosto la terza: chi canta».

La canzone del cuore?
«Il ragazzo della via Gluck, con quella ho imparato a suonare la chitarra».

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