mercoledì 19 settembre 2012

Controllo spese partiti: Curzio Maltese, “La foresta dei Gattopardi”



Toh…guarda…
C’è qualche giornalista che inizia a capire che l’antipolitica è la politica dell’attuale Parlamento…


da: la Repubblica

La foresta dei Gattopardi
di Curzio Maltese

Che cos'è davvero l'antipolitica? Da mesi le forze politiche in Parlamento non trovano l'accordo invocato da tutti, dal Quirinale alle associazioni, dal primo cittadino all'ultimo di noi, per cambiare una porcata di legge elettorale invisa al 99 per cento degli italiani. In compenso ieri, in un attimo, i partiti sono riusciti a bloccare quasi all'unanimità 1 una piccola norma di trasparenza, l'obbligo di affidare a una società esterna il controllo delle spese dei gruppi parlamentari. Poca roba, si capisce, rispetto a quello che i partiti avrebbero potuto e dovuto fare di corsa dopo l'ondata di scandali che rischia di travolgerli, dai casi di Lusi e Belsito giù fino alle spese trimalcionesche della Regione Lazio, e cioè una vera riforma dei rimborsi elettorali e un taglio netto agli sprechi, con un severo controllo da parte di organismi terzi.
Insomma una spending review applicata ai costi della politica. Nulla di questo è avvenuto e la montagna di promesse aveva finora partorito lo sparuto topolino di una singola regola di trasparenza, per giunta applicata a una modesta fetta della torta di danaro pubblico destinata ai partiti, quella gestita dai gruppi della Camera. Ma anche questo minimo sforzo d'intercettare le richieste del Paese reale è parso al ceto politico un sacrificio troppo grande e ieri la norma ha rischiato di essere cancellata, prima dell'intervento di Fini e di Pd, Udc e Idv. Negare l'obbligo di un controllo esterno per lasciarlo alla vigilanza degli organi interni
significa non cambiare nulla. Andare avanti com'è andata finora, ovvero malissimo.

Questa è antipolitica. Autentica, volgare e pericolosa. Quando si disprezza in questo modo la richiesta da parte dei cittadini di maggior pulizia e controllo sul danaro pubblico dato ai partiti, quando si maschera con la bandiera ideale dell'autonomia una sostanziale impunità, quando si predicano i sacrifici ogni giorno agli altri per barricarsi alla prima occasione intorno ai propri privilegi, non si rende soltanto un pessimo servizio alla democrazia e al Paese. Si pongono le basi per far saltare l'intero sistema politico, le fondamenta stesse del patto di rappresentanza fra cittadini e partiti. Che razza di professionisti della politica sono questi, in grado di trovare l'unanimità su scelte oggettivamente odiose, ma incapaci di raggiungere un accordo sulle riforme chieste a gran voce dall'intera opinione pubblica?

Viene quasi da chiedersi se non vi sia una logica in questa follia. Se una classe dirigente di gattopardi allergici al cambiamento non abbia deciso di blindarsi a palazzo, nel calcolo che comunque il movimentismo di Grillo non esprimerà mai un'alternativa di governo per una grande nazione, ma al massimo uno sfogatoio ai rancori accumulati da pezzi di società. Se così fosse, si tratterebbe di una strategia catastrofica.

Occorre sperare che non sia vero. Sperare di trovarci di fronte all'ennesimo richiamo della foresta di sorde burocrazie di partito e vecchi gruppi dirigenti che hanno perso il contatto con la realtà, la volontà e i sentimenti dei cittadini. Credere che il ripensamento di alcuni partiti, il Pd, l'Udc, l'Idv, sia la sincera ammissione di un errore e non una retromarcia da opportunisti. Ma al solito, perché non ci avevano pensato prima? Non si pretende che la politica arrivi sempre prima della società. Per quanto proprio in questo consista la buona politica. Ma neppure si può rassegnarsi all'idea che arrivi ogni volta molto dopo, quasi sempre troppo tardi e per giunta con l'aria di chi è trascinata a forza verso soluzioni chiare e oneste, cui naturalmente sfuggirebbe come il diavolo davanti all'acquasantiera. Non bastassero ogni mese un nuovo scandalo e un altro rinvio delle leggi contro la corruzione per alimentare cattivi pensieri e pessimi populisti.

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